Rifiuto all’invito della Signora Contessa

Rifiuto all'invito della Signora Contessa

Prendo la penna e senza malinconia

scrivo a Lei Signora Contessa della veneta città mia.

Le scrivo in rima, e di questo non me ne voglia

anche se la rima stessa a volte è cruda e spoglia.

Rispondo a quel suo invito

a me, in verità molto gradito

al quale, purtroppo, in certi momenti,

sono disposto ad accodarlo a quello di Gaber e della Monti.

Arrossisce indignata Signora Contessa? Forse ha ragione

ma tengo fede all’appellativo che Lei mi dà “simpatico mascalzone”.

Si ricorda quella volta che con intenzione o senza volere

le misi il pepe nel bicchiere?

E Lei sorridendo, come vuole l’etichetta, ma con animo tumultuoso

bevve lo champagne dal sapore velenoso.

E un’altra volta, ancor quando… Sua figlia

se ben ricordo cadde su una biglia

messa apposta da me sul balcon

affinchè rovinasse quell’orrendo vestito di schiffon.

Questi sono due scherzetti dei tanti fatti ai Nobili… letti

(scusi se nomino solo la finale

del Suo grande nome patriarcale

altrimenti come avrei fatto poveretto

a rimanere col plurale di scherzetto).

Voglio insomma a Lei spiegare

con tutto questo lungo parlare

che del Suo invito non mi importa un gran chè

giusto per dirla proprio com’è.

Ma suvvia resti serena

prendersela con me non vale la pena.

Ora però la debbo lasciare

anche perchè è bello ma difficile rimare.

Con un baciamano e un inchino dignitoso

mi ritiro piano pianno e silenzioso.

da Milano nel 1961